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Risorgimento e Musica: Michele Panico da Neviano e il ruolo delle fanfare in Terra d’Otranto

Pubblicato il 12 dicembre 2020 sulla rivista culturale on line Il pensiero mediterraneo


Tutto il periodo che va dal 1815 al 1870, passato alla storia con il nome di Risorgimento, è stato caratterizzato da moti rivoluzionari e da fermenti patriottici e libertari, che non hanno risparmiato la nostra bella Terra d’Otranto.
La Carboneria, società segreta a sua volta derivante dall’antica Massoneria o Libera Muratoria, si era già diffusa in modo particolare nell’Italia meridionale nei primi anni del secolo XIX° per iniziativa delle truppe napoleoniche, che qui stanziarono dal 1803 al 1805, ed il suo tratto saliente era stato lo spirito di opposizione alla politica filo-napoleonica di Gioacchino Murat.
Ma ben presto, con il ritorno di Re Ferdinando a Napoli e la conseguente Restaurazione, che aveva soffocato nel sangue le legittime aspirazioni dei popoli alla libertà e all’indipendenza nonché tutti gli ideali che un tempo erano stati propugnati dalla Rivoluzione Francese, la Carboneria acquistò connotazioni antimonarchiche. Questa società segreta reclutò moltissimi patrioti tra studenti, ufficiali e nobili, e dall’arte dei carbonai, che preparavano il carbone e lo vendevano al minuto, trasse le sue denominazioni.


Tra i paesi appartenenti alla Terra d’Otranto spiccava Gallipoli, dove la situazione era particolarmente accesa, poiché la città era divisa in due grandi fazioni. La prima faceva capo alla vendita L’Asilo dell’onestà, attivista, intransigente e turbolenta, la seconda era scaturita dall’esigenza di porre freno ai disordini provocati dalla prima e di garantire l’ordine cittadino e prese il nome di Utica del Salento.
La prima vendita era capeggiato da Domenico Perrone, Carlo Patitari, Antonio Piccioli, Pasquale Tafuri e Domenico Fersini, la seconda dal canonico Antonio De Pace, da Carlo Leopizzi e Francesco Forcignanò; tra i partecipanti vi erano Bernardo Ravenna, Domenico Antonio De Rossi, Felice Leopizzi, Angelo Spirito e il sacerdote Gaspare Vergine di Corigliano. I contrasti tra i due partiti durarono per tutto il decennio tra il 1820 e il 1830, periodo durante il quale i Carbonari vennero anche perseguitati da parte del Generale Riccardo Church che, in una statistica di ribelli compilata di concerto con l’Ispettore di polizia Borrelli e dall’Intendente di Terra d’Otranto Ferdinando Cito di Torrecuso, solo a Gallipoli identificò ben 78 settari, la maggior parte dei quali qualificati come effervescentiriscaldatipericolosi, e tutti di condotta irreligiosaimmorale e ostile al governo.


Fu questo il contesto storico, politico e culturale nel quale operò Michele Panico, nato a Neviano nel 1796, dal calzolaio Ugone e da Santa Resta. Essendo un convinto patriota antiborbonico, già dall’anno 1814, ancora giovanissimo, venne sottoposto a vigilanza speciale da parte della gendarmeria. Negli anni Venti del XIX° secolo fondò a Neviano una delle più note e movimentate tra le fanfare di Puglia, riunendo molti appassionati di musica ma soprattutto molti ferventi spiriti liberali.
Michele Panico era un capobanda in tutti i sensi, non solo del concerto musicale, ma anche CarbonaroFiladelfo graduato da Assistente e Caporale della Legione, ma a preoccupare la polizia borbonica era soprattutto l’amicizia che lo legava ad esponenti di spicco del tempo, che godevano di un certo potere e di una certa protezione a causa della funzione ricoperta, come il Sindaco di Neviano, Michele Resta, ed il cancelliere Raffaele Piccioli. Nel 1830 il capobanda venne confinato a Gallipoli, ma la sua attività concertistico-rivoluzionaria non cessò, tanto che al Sottintendente Filangieri fu comandato di sorvegliarlo ovunque si spostasse, anche qualora si trattasse di esibizioni musicali con la sua banda.
All’esito di questa speciale sorveglianza Michele Panico fu condotto e trattenuto a Lecce per due giorni, ma appena rilasciato, tornò in paese vantandosi a gran voce che l’Intendente non aveva preso in gran considerazione le sue mancanze. La sua condotta negli anni successivi non cambiò minimamente, tanto che il 10 giugno 1849, in Neviano, durante la festa del Corpus Domini, fu coinvolto nel celebre episodio che ebbe come protagonista il patriota gallipolino Leopoldo Rossi, che riuscì ad evitare l’arresto da parte della gendarmeria borbonica proprio grazie all’intervento della banda musicale e del suo direttore, i quali, brandendo i propri strumenti a mo’ di arma riuscirono a proteggerlo e ad aprirgli una via di fuga: la vicenda assunse connotati romanzeschi e, all’epoca, fece il giro della Provincia suscitando l’ilarità di molti.
Con l’aiuto di un vecchio amico Francesco Colazzo, l’ex intendente della Guardia Urbana divenuto nel frattempo Sindaco, e di Michele Resta, passato dalla carica di Sindaco all’attività di Cancelliere, la Banda musicale di Neviano fu assolta dalle imputazioni, ma fu costretta a sciogliersi, ed il maestro Panico fu arrestato e condotto in prigione. Fortunatamente l’esperienza carceraria durò poco e, dopo il 1850, Michele Panico non si espose più in attività palesemente rivoltose e morì a Gallipoli, nel 1861, senza potersi godere (ironia della sorte!) l’appena proclamata Unità d’Italia.


La rivoluzione musicale posta in essere dalle fanfare durante il periodo risorgimentale, le quali avevano divulgato nelle piazze la bellezza del melodramma, aveva permesso a larghi strati della popolazione di avvicinarsi alla musica attraverso l’ascolto gratuito in spazi accessibili a tutti. Ed infatti, le fanfare, nate come una sorta di dopolavoro, non furono solo un onesto passatempo, ma anche un mezzo di educazione e di utilità pubblica, rivolto a promuovere il progresso e la civilizzazione. Essendo una naturale cornice a feste e a cerimonie sia civili che religiose, esse ebbero un ruolo fondamentale nella ricostruzione politica, sociale e soprattutto morale di quello che poi sarebbe diventato il popolo italiano, veicolando motivi patriottici e diffondendo sentimenti di libertà attraverso le note di illustri compositori e accomunando uomini di diversa estrazione sociale attraverso un linguaggio universale, quello della musica.


Agli inizi degli anni venti del XIX° secolo, la polizia borbonica, comprendendo le potenzialità comunicative e la portata rivoluzionaria della musica, cominciò in un primo momento a schedare tutti coloro che entravano a far parte di queste formazioni musicali che, sotto l’apparenza ludica, celavano quasi sempre covi di anarchici e insurrezionalisti appartenenti a tutte le classi sociali e, successivamente, a coinvolgerli in tutte le principali ricorrenze del Regno, al fine di celebrare il regime stesso. Questi gruppi di musicisti vennero così inquadrati nelle strutture civiche dell’amministrazione borbonica: la c.d. Guardia Urbana, un vero e proprio corpo paramilitare.
Qualche anno più tardi, per contrastare l’uso ancora vigente di indossare divise di ispirazione napoleonica, ai bandisti venne imposto di indossare una determinata divisa e di dotarsi di patente (patentiglia) che li identificasse e li autorizzasse ad esercitare l’attività, previo accertamento della loro fedeltà al regime.
In particolare, la Guardia Urbana di Neviano risulta essere installata nel 1828 sotto la guida del notabile Carmine Romano che ne rimarrà a capo fino al 1841, anno della sua destituzione. Dal 1828 al 1841 i bandisti della Guardia Urbana non indosseranno uniformi e non avranno la patentiglia che diverrà obbligatoria solo successivamente.
Nel 1853, anche la Banda di Neviano, la medesima che solo qualche anno prima era stata inquisita per sedizione, figurerà nell’elenco delle trentadue Bande musicali salentine approvate dall’amministrazione borbonica.

Luigi Solidoro

Ercole Panico

Pubblicato il 15 dicembre 2020 sulla rivista culturale on line Il pensiero mediterraneo


Laura De Vita, nel suo volume Ercole Panico (1835 – 1891). La vita e le opere di un brillante e geniale musicista dell’800 gallipolino con prefazione di Elio Pindinelli, stampato nell’agosto 2020 (Tip. CMYK) e presentato ufficialmente al pubblico il 13 settembre presso la Biblioteca Comunale di Gallipoli, dopo aver esplorato il ruolo delle fanfare in epoca risorgimentale e aver narrato le vicende di Michele Panico, capobanda più turbolento del periodo, recupera la preziosa storia di uno dei suoi figli, Ercole, musicista molto noto in tutto il Sud Italia, oltre ad essere un personaggio piuttosto discusso e chiacchierato.

Ercole Antonio Leonardo Panico nacque il 2 gennaio 1835 in Neviano; da tutti soprannominato Ercolino, visse gran parte della sua vita in Gallipoli, dopo essersi perfezionato presso il Conservatorio che ha oggi il nome di San Pietro a Majella, a Napoli, città dove aveva stretto amicizia con molti giovani patrioti. Nella fanfara paterna suonava la cornetta (odierna tromba), e così in orchestra durante l’esecuzione delle opere liriche; alla morte del padre,nel 1861, Ercole prese il suo posto nella direzione della fanfara di Gallipoli, città alla quale rimase indissolubilmente legato per tutta la vita. Egli condusse una vita di eccessi, disordinata e stravagante, ma fu soprattutto protagonista di grandi trionfi musicali. In vita ricevette molti attestati di lode a firma di grandi maestri come Lauro RossiPaolo SerraoMichele Ruta; l’Associazione Musicale di Palermo gli consegnò un diploma con medaglia d’oro per meriti artistico-musicali.

Sotto di lui, la fanfara cominciò a prestare servizio a spese del Comune, non trascurando però di recarsi anche in altri centri pugliesi dove veniva spesso invitata (banda da giro); era inoltre chiamata per intervenire durante i funerali di grande importanza ed era molto ben remunerata. Nel 1888 Ercole trasformò la Fanfara in Banda così come la conosciamo oggi, aggiungendo nuovi strumenti musicali e reclutando molti nuovi musicisti.

E poiché, come si dice, buon sangue non mente, egli fu fervente patriota, iscritto alla Giovine Italia e uno dei primi associati alla nuova Loggia Massonica intitolata a Tommaso Briganti, insediata in Gallipoli nell’aprile 1866 da Giuseppe Libertini. Strinse una fraterna amicizia con i repubblicani più celebri dell’epoca, in particolare con Giuseppe Garibaldi, l’eroe dei due mondi, del quale conservava gelosamente la corrispondenza epistolare e le fotografie.

Quando Ercole morì, il 14 aprile 1891, presumibilmente per un tumore alla vescica, molti periodici dell’epoca ne diedero l’infausto annuncio e la Loggia Massonica Tommaso Briganti gli preparò uno dei più imponenti funerali che la storia gallipolina ricordi, funerale che si svolse integralmente con rito massonico, nonostante nel fare la toletta al cadavere, al collo del defunto fosse stata rinvenuta una catenina d’oro con appesi un Crocifisso ed una medaglietta con l’immagine di Gesù: una scoperta sorprendente, tenuto conto che il maestro era da tutti considerato ateo.

Dopo la sua morte, la figura di Ercolino è divenuta quasi leggenda: per più di un secolo, la sua vita e le sue opere sono rimaste avvolte nel mistero. Gli appassionati di musica e tradizioni locali conoscevano solo pochissime notizie biografiche, per lo più estrapolate dai giornali dell’epoca, ed alcune composizioni sacre, gelosamente custodite negli archivi delle Confraternite della Città di Gallipoli e ancora oggi eseguite in occasione di particolari festività, come l’imponente Inno Cristo è morto, irrinunciabile colonna sonora della processione dell’Urna durante il Venerdì Santo.

L’autrice del volume, oltre a tracciare il profilo umano dell’artista, raccontando notizie ed episodi inediti, ha ripubblicato numerose composizioni che si ritenevano ormai perdute: tre Album di marce, polke, mazurke, valzer, canzoni ed inni, per un totale di ventuno brani, molti dei quali composti in occasione di eventi di rilievo o dedicati ai personaggi illustri del tempo, tra cui anche Margherita di SavoiaBenedetto Cairoli e lo stesso Giuseppe Garibaldi.

La varietà e la freschezza delle idee melodiche, sempre estrose e mai ripetitive, sintomo di un’inventiva musicale inesauribile; l’abilità e la sicurezza compositive sono solo alcune delle caratteristiche della produzione musicale di Ercole Panico che la rendono interessante e capace di mantenere sempre alta l’attenzione dell’ascoltatore. Dalle vivaci composizioni ritrovate emerge prepotentemente la personalità dell’artista come ci è stata descritta dalle fonti. Gustosissimi sono gli aneddoti riportati che dipingono il maestro come un artista geniale e volubile, come uomo irascibile ma di buon cuore, sempre di corsa tra alcool, gioco d’azzardo, riunioni segrete e chiassosi concerti in compagnia di amici e discepoli musicisti.

Luigi Solidoro

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