Tag: musica popolare

La pastorale di Clatinoro a Gallipoli: una tradizione lunga un secolo

Pubblicato il 20 dicembre 2021 su Il pensiero mediterraneo


Si è svolta ieri, come da antica tradizione, la “Pastorale di Clatinoro” organizzata dal signor Antonio Cataldi e dalla sua famiglia. Quest’anno, per via delle restrizioni dovute alla pandemia, la manifestazione musicale ha subìto dei cambiamenti rispetto alle modalità degli scorsi decenni: il gruppo dei musicanti reclutati dal signor Antonio, infatti, non ha percorso alle prime luci dell’alba le suggestive stradine del centro storico di Gallipoli al suono della tradizionale nenia natalizia, ma si è ritrovato direttamente nella Chiesa di San Francesco d’Assisi alle ore 08:30 per partecipare alla celebrazione liturgica presieduta dal parroco don Piero De Santis, suonando la dolce composizione durante le parti variabili della messa, ossia all’ingresso, all’offertorio, alla comunione ed alla conclusione.

Questa manifestazione musicale è la più antica nel suo genere tra quelle che si svolgono in questo periodo nella cittadina ionica in quanto ha una storia lunga e singolare. Sono in pochi, infatti, a sapere che l’ideatore non è stato il signor Clatinoro Cataldi, dal quale da decenni ha preso il nome, bensì i suoi genitori, Pantaleo e Melania (chiamata da tutti Melanìa, conosciuta per la sua forza e la sua brillantezza), i quali avevano avuto una figlia nata con problemi di salute e soprattutto affetta da cecità. Per tale motivo le diedero il nome di Lucia, con la volontà di affidarla al soccorso della santa protettrice della vista. La signora Melanìa, morta alla veneranda età di 97 anni, alla nascita della figlia cieca decise di organizzare un corteo musicale portando per le strade cittadine la musica della Pastorale gallipolina la domenica successiva al 13 dicembre (giorno della festa di Santa Lucia) e concludendo la manifestazione con la celebrazione della messa nella Chiesa di Santa Maria della Purità alla quale prendevano parte tutti gli intervenuti.

Tale manifestazione è stata mantenuta anche dopo la prematura scomparsa della figlia non vedente e da allora non si è mai interrotta poiché, dopo la morte della signora Melanìa, il figlio Clatinoro, suonatore di mandolino e mandòla, ha proseguito l’organizzazione dell’evento fino al dicembre del 1973, ultimo Natale prima della sua scomparsa, avvenuta l’8 settembre 1974 all’età di 64 anni. Il signor Clatinoro curava personalmente anche la preparazione musicale tenendo numerose prove nelle settimane che precedevano l’evento. Inoltre, durante l’esecuzione per le strade regnava un solenne silenzio e, nonostante l’ora notturna, molte erano le finestre e le porte di casa che si aprivano per ospitare i musicisti infreddoliti ristorandoli a suon di cioccolata calda, anice, taralli, cozze ripiene di mostarda, purciaddruzzi ed ogni altro ben di Dio che regna ancora oggi sulle tavole dei gallipolini nel periodo natalizio.  Oggi i tempi sono cambiati e di finestre o porte di casa se ne aprono ben poche, non fosse altro per il numero esiguo di persone che abitano stabilmente nel centro storico.

Dal dicembre del 1974 e sino a ieri il signor Antonio, figlio di Clatinoro, ha continuato tale tradizione con lo stesso amore e la stessa devozione del padre e dei nonni, ospitando e rifocillando nella sua casa paterna, sita in Via Sant’Angelo, i musicisti e tutti i partecipanti che, dotati di un grande amore per le tradizioni, volontariamente decidono di sfidare il freddo ed il vento gelido delle strade gallipoline.

Risulta chiaro, quindi, che questa tradizione, nella sua semplicità, ha alle spalle una storia lunga più di un secolo e rientra a pieno titolo tra quelle manifestazioni autoctone che rendono la città di Gallipoli unica ed affascinante agli occhi di chi la vive ogni giorno ma anche a quelli di chi la osserva solo da lontano o in alcuni periodi dell’anno.

Tradizioni semplici ma ricche di storia e ancora oggi presenti nelle pieghe del vissuto quotidiano che bisogna tutelare e preservare dal rischioso “modello globale” che tende a cancellare la memoria, l’identità e le caratteristiche peculiari dei territori e delle comunità, consapevoli che, come affermava J. Jaurès, “tradizione non significa conservare le ceneri ma mantenere viva la fiamma”.

Nel video allegato si può ascoltare una rarissima registrazione su nastro a bobina della pastorale gallipolina eseguita nel 1969 dai musicanti “storici” di Gallipoli: Clatinoru Cataldi, mesciu Ninu Trumbetta (Giovanni Carrozza), mesciu Nandu Carrozza, Cintuzzu (Giacinto Serrano), Bertu Bresciani, Pippi Sansò, Pizzazzara (Salvatore Monterosso).

LA PASTORALE GALLIPOLINA

In questo saggio dedicato alla tradizionale nenia natalizia, il M° Solidoro pubblica integralmente anche il prezioso spartito manoscritto originale della Pastorale Gallipolina appartenuto al maestro Alfredo Dongiovanni (1889-1968), professore di chitarra, mandolinista e compositore autodidatta; un vero e proprio cimelio non solo per gli studiosi, ma anche per tutti gli appassionati di musica e tradizioni locali.

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Per saperne di più

Le composizioni musicali dedicate a Santa Cristina, Patrona secondaria della Città di Gallipoli

Pubblicato sulla rivista culturale Anxanews, n.100 – luglio/agosto 2019, pagg. 33-34;

e con aggiunte, sulla rivista culturale on line Il pensiero mediterraneo, del 23 luglio 2022.


Le composizioni musicali gallipoline dedicate alla patrona Santa Cristina consistono in tre Inni Sacri composti da altrettanti compositori locali.

L’Inno è un componimento poetico – musicale caratterizzato da una struttura strofica e destinato alle celebrazioni religiose; viene infatti cantato da un coro e accompagnato dall’organo o, molto spesso, strumentato per banda musicale per essere eseguito durante la processione.

La canzone e preghiera per Santa Cristina L’aurora di Tiro di Vincenzo Alemanno è stato musicato nel 1868 ed è composto da quattro strofe che seguono lo schema formale A B B A, dove la sezione A è in tempo 3/4 ed in tonalità di Lab Maggiore, mentre la sezione B è in tempo 4/4 ed in tonalità di Mib Maggiore con una chiusura in tempo di 6/8, dove la prima è solo strumentale, mentre nella seconda (B) si aggiunge anche il canto.

La musica è in perfetto stile ottocentesco, melodiosa e scorrevole; con eleganza e forte slancio romantico, l’autore ha saputo splendidamente interpretare il clima spirituale e culturale della Gallipoli del secondo ottocento. Inoltre, considerando che il Patrocinio di Santa Cristina a Gallipoli risale al 1867, questa composizione ha una grande importanza storica: quella, cioè, di essere il più antico Inno Sacro gallipolino ad oggi pervenuto, nonché il precursore di tutte le composizioni sacre cittadine successive che a questo hanno guardato.

Attualmente di questa composizione sopravvivono due manoscritti originali per canto e pianoforte, conservati l’uno nel Fondo Vernole della Biblioteca Comunale di Gallipoli, l’altro dal sottoscritto, ereditato da un fondo privato.

Sempre nel Fondo Vernole sono conservate anche le parti strumentali (le c.d. parti staccate per banda) utilizzate dalla banda musicale gallipolina dell’epoca diretta dal maestro Ercole Panico.

All’indomani della morte del Ercole Panico, avvenuta nel 1891, Gallipoli affidò la sua banda a diversi maestri di musica: prima Antonio Puzzone, il quale cercò di rinsaldare le fila dei resti della banda del Panico, e poi anche Raffaele De Somma, con la c.d. “Banda del popolo”, e Prisciano Martucci da Cerignola, con la c.d. “Banda Municipale”, ma anche il celebre Francesco Luigi Bianco, che accettò quest’incarico dopo molte insistenze e grazie all’intercessione dello zio Cav. Michele Perrin, (appassionato musicofilo e già sindaco di Gallipoli nel triennio 1876 – 1879).

Vennero così composti gli altri due Inni Sacri dedicati a Santa Cristina, uno del maestro Raffaele de Somma e l’altro del maestro Francesco Luigi Bianco. Le motivazioni che hanno spinto i due maestri a scrivere tale musica vanno cercate, quindi, non solo nella fede verso la Santa Patrona, ma soprattutto nella necessità di avere materiale musicale da poter eseguire durante la processione o la festa. Bisogna pensare, infatti, che in quel periodo era difficilissimo acquistare o reperire spartiti musicali, soprattutto quelli destinati alla banda, né tantomeno esisteva il web dove poter reperire qualsiasi tipo di musica con un semplice click. I direttori di banda, infatti, erano costretti a comporre musica originale utilizzando i versi di poeti locali per poter svolgere quei servizi musicali affidati al loro complesso strumentale a seconda delle esigenze celebrative che si presentavano di volta in volta.

L’Inno Giglio ridente e candido composto dal maestro Raffaele De Somma ha la prima strofa in tonalità di Reb Maggiore ed in tempo di 2/4 (con una lunga introduzione strumentale di 36 battute), la seconda strofa in tempo di 3/4, sempre in Reb Maggiore, ed una Preghiera finale in tempo 2/4 in tonalità di Lab Maggiore (con un’introduzione di 15 battute). La composizione, su testo poetico del sacerdote Francesco Magno, è datata 1909, anno in cui viene donata dall’autore alla Confraternita della Purità che ne gode dei diritti di esecuzione.

L’inno presenta una scrittura musicale moderna, quasi difficile ad essere apprezzata al primo ascolto, che risente dello stile espressionista che si andava affermando in quegli anni in Italia, con l’abbandono degli schemi armonici e melodici tipici del secolo romantico appena trascorso. Le inusuali scelte armoniche attuate, infatti, lasciano intravedere la volontà del maestro di produrre qualcosa che fosse nuovo e mai ascoltato prima, in linea con le produzioni musicali dei grandi musicisti dell’epoca.

Su un piano decisamente opposto si colloca, invece, l’Inno del maestro Francesco Luigi Bianco, Salve, celeste Martire, che rimane saldamente ancorato agli schemi melodici e armonici ottocenteschi. È scritto in tonalità di Fa Maggiore ed in tempo 4/4 e reca un’introduzione in terzine di 15 battute che viene utilizzata in forma ridotta come intermezzo tra le varie strofe.

Come detto precedentemente, l’Inno è una composizione strofica, caratterizzata, quindi, dall’assenza di un ritornello (quella parte, cioè, della composizione che viene ripetuta in alternanza alle strofe e che risulta particolarmente orecchiabile). Il maestro Bianco, invece, che per natura possedeva il cosiddetto dono della melodia, pur di creare qualcosa che rimanesse scolpito nell’orecchio dell’ascoltatore e dei fedeli, come era suo solito, utilizza i primi due versi della prima strofa del testo poetico (“Salve, celeste Martire/diletta del Signor”) e, con la genialità compositiva che lo contraddistingueva, riesce a creare un ritornello che si inserisce nel finale di ogni strofa senza, però, alterare la struttura formale dell’intero testo.

La Confraternita della Purità di Gallipoli possiede più arrangiamenti per banda di questo brano, arrangiamenti che riportano tante piccole varianti rispetto all’originale; la versione presa in analisi dal sottoscritto è quella autografa, che era sicuramente una prima stesura o una brutta copia poiché presenta delle cancellazioni, e la grafia appare disordinata, come se fosse stata scritta in velocità dal copista di fiducia del maestro. Sul retro dell’ultima pagina questo spartito presenta una dicitura scritta da un altro musicista dilettante gallipolino del XX secolo, Michele Pagani, che riporto fedelmente: “28/10/42 Ritrovato nelle carte buttate del Professor Bianchi. Concede alla Chiesa della Purità”, dove il cognome Bianco viene erroneamente mutato in Bianchi.

La spontaneità musicale e la bellezza della linea melodica, semplice e mai banale, fanno di questo brano una vera e propria opera d’arte, un’autentica pietra miliare che si va ad incastonare nel vasto repertorio musicale sacro che la città di Gallipoli possiede e che la rendono unica ed invidiabile.

Per completezza di esposizione, si precisa che un altro compositore gallipolino, Alceste Citta, secondo quanto riportato da un articolo del giornale Spartaco nel Luglio del 1898, compose un Inno alla Santa di Bolsena, scritto per voce di fanciulli e dedicato ad Antonietta Barba, figlia del famoso professore; composizione purtroppo andata perduta.

Inoltre, degne di menzione sono le due composizioni del compianto Andrea Casole, anche lui gallipolino, giovane e appassionato compositore di numerosi brani di musica liturgica che ci ha lasciati troppo presto: la preghiera che la Santa rivolge a Dio durante il martirio (trattasi di una Antifona post Communio il cui testo è tratto dal Martirologio della Santa), nonché la commovente invocazione Salve, dolce Cristina cantata dai devoti per ottenere la sua intercessione dinanzi al trono celeste.

Luigi Solidoro

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