Autore: Luigi

Pianista e Compositore

La pastorale gallipolina

Pubblicato il 24 dicembre 2020 sulla rivista culturale Il pensiero mediterraneo 


Tutti noi avvertiamo il periodo natalizio come un momento di profonda intimità, di riscoperta dei valori affettivi e della famiglia, che possiamo assaporare solo privilegiando la riflessione e dedicando ampio spazio alla meditazione. Un periodo che la nostra società contemporanea ha ormai svuotato di significato, proponendoci una sorta di modello sostitutivo impregnato di consumismo e costituito dalla corsa ai regali.

Nella città di Gallipoli, da sempre centro di intensa vita religiosa e di tradizioni radicate, il periodo di Avvento, costituito dalle quattro domeniche che precedono il giorno di Natale, viene ulteriormente allargato, anticipando l’inizio addirittura al 15 ottobre, giorno in cui si festeggia Santa Teresa d’Avila, per poi passare attraverso il 22 novembre (Santa Cecilia), il 30 novembre (Sant’Andrea), l’Immacolata (8 dicembre) e Santa Lucia (13 dicembre).

Tutto questo lunghissimo periodo è caratterizzato da un’atmosfera carica di attesa e di profonda emozione e viene scandito dalle note della Pastorale gallipolina, un semplice e dolce componimento musicale concepito come nenia per il Divin Redentore che, come ogni bambino che viene al mondo, ha bisogno di essere cullato con una ninna nanna.

La tradizionale Pastorale gallipolina è un brano tipicamente strumentale che viene da sempre eseguito con Violini, Mandolini, Flauti, Clarinetti, Fisarmoniche e Chitarre. Di tale composizione abbiamo ereditato due versioni: la prima in tonalità di Sol Maggiore, conosciuta oggi come Pastorale antica; la seconda in tonalità di Re maggiore, versione semplificata della prima e oggi più eseguita. Della Pastorale Antica (in Sol maggiore), una trascrizione per Organo (anonima, riconducibile alla calligrafia di Ettore Vernole, noto cultore delle memorie storiche, artistiche e delle tradizioni popolari della città di Gallipoli, vissuto dal 1877 al 1957), una trascrizione per Violino II ed una per Arpa (entrambe anonime, ma aventi stessa calligrafia e quindi riconducibili senza ombra di dubbio alla medesima mano), sono custodite nell’archivio storico della Biblioteca Comunale di Gallipoli, più precisamente nel Fondo Vernole, mentre della versione più conosciuta in Re maggiore, elaborazione musicale del secondo Novecento, non esistono spartiti antichi ed è stata tramandata in maniera mnemonica. E’ facile presumere che la nascita di questa versione in Re maggiore sia avvenuta dall’estrapolazione, da parte dei musicisti dilettanti presenti in Gallipoli, delle parti musicali della Pastorale antica in Sol maggiore più semplici da eseguire; sicuramente la tonalità fu trasportata in Re maggiore per una questione di comodità esecutiva e si aggiunse come introduzione l’incipit di Tu scendi dalle stelle (per un breve periodo sostituito da Astro del Ciel). Inoltre, per quasi l’intera parte centrale in tonalità minore è stato aggiunto un ornamento glissato affidato al Clarinetto.

Dell’originale Pastorale Gallipolina in Sol maggiore, oltre alle parti per Violino IIOrgano ed Arpa del Fondo Vernole già menzionate e che si credeva fossero le uniche superstiti, in questi ultimi anni sono riuscito a ritrovare alcune trascrizioni per organo o pianoforte (anche in tonalità di Do maggiore) di fine XIX – inizio XX secolo e, soprattutto, una preziosa partitura manoscritta di fine Ottocento per due Mandolini, Mandola e Chitarra, recante il titolo di Aria Pastorale e da me pubblicata ne “La pastorale gallipolina. Saggio Breve” nel dicembre 2019. Questo importante documento storico apparteneva al maestro Alfredo Dongiovanni (1889 –1968), chitarrista, mandolinista e compositore autodidatta, nonché barbiere cerusico in Gallipoli: ogni sera, quando chiudeva il suo salone da barba sito vicino la Chiesa del Sacro Cuore di Gesù su Corso Roma, il maestro Alfredo era solito tenere dei veri e propri concerti con allievi ed amici musicisti. In questa partitura non viene riportato l’autore della musica, cosa che, invece, il Dongiovanni non ometteva mai nelle sue innumerevoli trascrizioni di musica operistica e salottiera; l’autore di tale composizione non viene riportato nemmeno dall’attento storico e musicologo Ettore Vernole nei suoi scritti sui musicisti gallipolini.  La musica della partitura del Dongiovanni è praticamente identica alla parte per Violino conservata nella Biblioteca Sant’Angelo, anche se alcune sezioni musicali (comunemente chiamate ritornelli) sono invertite di posizione, a riprova che non si tratta di musica d’autore, da trascrivere rispettosamente in modo fedele e puntuale (dove è impossibile pensare di anticipare o posticipare una battuta, una sezione o un tema musicale), bensì di musica popolare che si presta facilmente a rimaneggiamenti.

Rispetto a questa partitura, nella parte per Violino conservata in Biblioteca è presente solo una variante: essa reca un’introduzione che sicuramente è stata aggiunta successivamente. Questo si evince dal fatto che il primo rigo della parte di Violino II era sicuramente vuoto (come solitamente si usa fare ancora oggi per una questione di ordine grafico) e non è bastato al copista per aggiungere tutte le note dell’idea musicale sorta dopo la scrittura di tutto il brano. Anche la doppia scrittura della Chiave di sol, delle alterazioni e del tempo musicale tra primo e secondo rigo (poiché si scrivono solo una volta all’inizio del brano) e dalla scritta Introduzione, situata in alto a sinistra in maniera obliqua, si può facilmente dedurre tale manovra. Inoltre, a riconferma di ciò, nella parte di Arpa questa introduzione è presente solo nell’ultima facciata, dopo la chiusura del brano.

Un’ultima particolarità emerge, invece, dalla partitura del maestro Dongiovanni: nelle ultime due facciate è presente una musica, sempre in tonalità di Sol maggiore, in tempo 3/4 e recante l’indicazione agogica Lento, priva di titolo e che veniva sicuramente utilizzata dal maestro come sua personale introduzione durante l’esecuzione della Pastorale. 

Vero è che, a livello tecnico, con il termine Pastorale si indica una composizione musicale bucolica che narra scene di vita campestre o che richiama suoni della natura (il ruscello, l’usignolo etc.). Ma, un conto è l’abilità compositiva nell’elaborare un brano richiamante scene agresti, e un altro è la musica dei pastori che nel periodo dell’Avvento prendevano i loro strumenti, in particolare le zampogne, e scendevano in città suonando motivi semplici e orecchiabili per guadagnare qualche spicciolo. La Pastorale gallipolina, infatti, è una nenia, una ninna nanna natalizia priva di ambizioni compositive, semplice e spontanea, che si discosta enormemente dallo stile elaborato e ricercato di altre composizioni Pastorali rintracciabili in Gallipoli (come le cinque pastorali settecentesche custodite nel Fondo Vernole o come le Pastorelle di Vincenzo Alemanno, compositore gallipolino del XIX secolo). Ci piace ripetere, infatti, quello che raccontavano i nostri nonni ai propri nipoti, e cioè che questa musica fosse la ninna nanna suonata dai pastori a Gesù Bambino nel presepe. Musica che si ascolta con il cuore, dall’andamento lento e melodioso, come, del resto, quasi tutta la musica popolare nostrana. Questo deriva dal fatto che, essendo un paese di mare, i nostri ritmi sono per lo più a barcarola, cioè con quel tipico moto ondulante che richiama l’andamento del mare, e non spigolosi o ritmici come lo sono quelli di pizzica e taranta, oppure le composizioni pastorali del sei – settecento di scuola napoletana, dal tipico andamento allegro. Questo suo andamento lento e cullante la rende tipicamente autoctona e fa sì che si discosti anche dalle tradizionali pastorali natalizie suonate nella vicina Taranto.

A conferma della matrice popolare di questa musica, come accennato precedentemente, vi è anche il fatto che un testo in dialetto gallipolino, oggi ormai dimenticato, era stato apposto alla tradizionale nenia e cantato dai nostri avi. Collegando le varie parti testuali che mi sono state cantate dalle persone che ho intervistato, sono riuscito ad elaborare un frammento di questa tradizione ormai perduta. Già lo storico Ettore Vernole, alla Conferenza sul suo volume Echi musicali del Medioevo gallipolino tenuta il 10 febbraio 1943 presso la sezione di Gallipoli della Società Dante Alighieri, affermava con convinzione che: “Il Salento ha pastorali sue proprie, tutte varianti di una sola cantilena, quella che sgorga naturale dallo zufolo e dalla zampogna (la quale qui è chiamata con vocabolo ellenico cimmàrra, da chimaira), e dolciscono la tristezza, ricercano e ritrovano in fondo all’anima un gaudio mistico, e accompagnano la strofetta tenue onde il popolo nostro raffigura a sé stessa, a immagine e somiglianza della propria famiglia, la più Santa delle Famiglie”.

La struttura formale della versione originaria della Pastorale Gallipolina in Sol, escludendo le varie introduzioni aggiunte nel corso del tempo (ricordiamo, oltre all’incipit di Tu scendi dalle stelle e Astro del ciel, quella che si trova nella parte di Violino ed Arpa del Fondo Vernole, quella del maestro Ippazio Frisenna e quella del maestro Alfredo Dongiovanni), è Maggiore – Minore – Maggiore, composta da quattro sezioni (in alcune versioni cinque) in tonalità maggiore, quattro sezioni in tonalità minore, seguite da altre tre sezioni in tonalità maggiore. Tra le varie sezioni, tutte ritornellate (cioè che si ripetono due volte), non vi è un legame di continuità musicale in quanto ognuna di loro comincia e finisce sempre con la tonica, proprio come i semplici motivi musicali eseguiti dagli zampognari con i loro strumenti. La melodia, come già accennato in precedenza, è molto semplice, di matrice popolare e procede quasi sempre per intervallo di terza tra la nota superiore e quella inferiore. Anche la struttura armonica rispecchia questa semplicità: viene utilizzato, infatti, solo il giro armonico di Sol maggiore e di Sol minore, e non sono presenti modulazioni (ossia cambi di tonalità) né ai toni vicini né a quelli lontani. Il tempo musicale è di 6/8 ma, in realtà, viene eseguita in tempo 3/4 Lento. La composizione, nel suo insieme, può essere sintetizzata in tre grandi sezioni: una prima fase, in tonalità maggiore, dove si può individuare lo stupore iniziale delle genti per la nascita in una mangiatoia del Redentore; una seconda fase, più lunga e melanconica, in tonalità minore, che potrebbe rimandare alla Passione morte di Gesù; una terza che, con il ritorno della tonalità maggiore, ci porta alla gioia della Resurrezione.

Ricordiamo, infine, che dopo la Seconda Guerra mondiale questa composizione era andata quasi dimenticata e fu grazie al maestro Gino Metti (1905 –1982: organista, compositore, direttore d’orchestra e di banda) e agli arrangiamenti che elaborava per i suoi giovani allievi che si recuperò e si incrementò, riprendendo la consuetudine di eseguirla per le strade cittadine, soprattutto di notte.

Luigi Solidoro

Ercole Panico

Pubblicato il 15 dicembre 2020 sulla rivista culturale on line Il pensiero mediterraneo


Laura De Vita, nel suo volume Ercole Panico (1835 – 1891). La vita e le opere di un brillante e geniale musicista dell’800 gallipolino con prefazione di Elio Pindinelli, stampato nell’agosto 2020 (Tip. CMYK) e presentato ufficialmente al pubblico il 13 settembre presso la Biblioteca Comunale di Gallipoli, dopo aver esplorato il ruolo delle fanfare in epoca risorgimentale e aver narrato le vicende di Michele Panico, capobanda più turbolento del periodo, recupera la preziosa storia di uno dei suoi figli, Ercole, musicista molto noto in tutto il Sud Italia, oltre ad essere un personaggio piuttosto discusso e chiacchierato.

Ercole Antonio Leonardo Panico nacque il 2 gennaio 1835 in Neviano; da tutti soprannominato Ercolino, visse gran parte della sua vita in Gallipoli, dopo essersi perfezionato presso il Conservatorio che ha oggi il nome di San Pietro a Majella, a Napoli, città dove aveva stretto amicizia con molti giovani patrioti. Nella fanfara paterna suonava la cornetta (odierna tromba), e così in orchestra durante l’esecuzione delle opere liriche; alla morte del padre,nel 1861, Ercole prese il suo posto nella direzione della fanfara di Gallipoli, città alla quale rimase indissolubilmente legato per tutta la vita. Egli condusse una vita di eccessi, disordinata e stravagante, ma fu soprattutto protagonista di grandi trionfi musicali. In vita ricevette molti attestati di lode a firma di grandi maestri come Lauro RossiPaolo SerraoMichele Ruta; l’Associazione Musicale di Palermo gli consegnò un diploma con medaglia d’oro per meriti artistico-musicali.

Sotto di lui, la fanfara cominciò a prestare servizio a spese del Comune, non trascurando però di recarsi anche in altri centri pugliesi dove veniva spesso invitata (banda da giro); era inoltre chiamata per intervenire durante i funerali di grande importanza ed era molto ben remunerata. Nel 1888 Ercole trasformò la Fanfara in Banda così come la conosciamo oggi, aggiungendo nuovi strumenti musicali e reclutando molti nuovi musicisti.

E poiché, come si dice, buon sangue non mente, egli fu fervente patriota, iscritto alla Giovine Italia e uno dei primi associati alla nuova Loggia Massonica intitolata a Tommaso Briganti, insediata in Gallipoli nell’aprile 1866 da Giuseppe Libertini. Strinse una fraterna amicizia con i repubblicani più celebri dell’epoca, in particolare con Giuseppe Garibaldi, l’eroe dei due mondi, del quale conservava gelosamente la corrispondenza epistolare e le fotografie.

Quando Ercole morì, il 14 aprile 1891, presumibilmente per un tumore alla vescica, molti periodici dell’epoca ne diedero l’infausto annuncio e la Loggia Massonica Tommaso Briganti gli preparò uno dei più imponenti funerali che la storia gallipolina ricordi, funerale che si svolse integralmente con rito massonico, nonostante nel fare la toletta al cadavere, al collo del defunto fosse stata rinvenuta una catenina d’oro con appesi un Crocifisso ed una medaglietta con l’immagine di Gesù: una scoperta sorprendente, tenuto conto che il maestro era da tutti considerato ateo.

Dopo la sua morte, la figura di Ercolino è divenuta quasi leggenda: per più di un secolo, la sua vita e le sue opere sono rimaste avvolte nel mistero. Gli appassionati di musica e tradizioni locali conoscevano solo pochissime notizie biografiche, per lo più estrapolate dai giornali dell’epoca, ed alcune composizioni sacre, gelosamente custodite negli archivi delle Confraternite della Città di Gallipoli e ancora oggi eseguite in occasione di particolari festività, come l’imponente Inno Cristo è morto, irrinunciabile colonna sonora della processione dell’Urna durante il Venerdì Santo.

L’autrice del volume, oltre a tracciare il profilo umano dell’artista, raccontando notizie ed episodi inediti, ha ripubblicato numerose composizioni che si ritenevano ormai perdute: tre Album di marce, polke, mazurke, valzer, canzoni ed inni, per un totale di ventuno brani, molti dei quali composti in occasione di eventi di rilievo o dedicati ai personaggi illustri del tempo, tra cui anche Margherita di SavoiaBenedetto Cairoli e lo stesso Giuseppe Garibaldi.

La varietà e la freschezza delle idee melodiche, sempre estrose e mai ripetitive, sintomo di un’inventiva musicale inesauribile; l’abilità e la sicurezza compositive sono solo alcune delle caratteristiche della produzione musicale di Ercole Panico che la rendono interessante e capace di mantenere sempre alta l’attenzione dell’ascoltatore. Dalle vivaci composizioni ritrovate emerge prepotentemente la personalità dell’artista come ci è stata descritta dalle fonti. Gustosissimi sono gli aneddoti riportati che dipingono il maestro come un artista geniale e volubile, come uomo irascibile ma di buon cuore, sempre di corsa tra alcool, gioco d’azzardo, riunioni segrete e chiassosi concerti in compagnia di amici e discepoli musicisti.

Luigi Solidoro

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